BELLIZZI

I QUADRI DEL PRIGIONIERO TEDESCO

Joseph Andreas Pausewang, artista e soldato

chiesa parrocchiale del Sacro Cuore – via Torino

Nel 1943 Joseph Andreas Pausewang fu chiamato alle armi e destinato prima in Francia e successivamente in Italia; così il granatiere tedesco si trovò coinvolto nel conflitto conseguente allo sbarco anglo-americano del settembre 1943, la famosa Operazione Avalanche. Durante questi feroci combattimenti fu fatto prigioniero dagli Inglesi e rinchiuso nel campo di concentramento di Picciola, prima, e di Sant’Antonio di Pontecagnano, poi. Qui conobbe Padre Beniamino Miori che del campo era cappellano cattolico. Fra il sacerdote e il prigioniero nacque una solida amicizia e Padre Beniamino, sapendo di avere a che fare con un pittore, gli procurò i colori, mentre le tele furono ricavate per lo più dai teloni dei camion militari e i pennelli erano già in possesso dell’artista.

I quadri del pittore tedesco furono provvisoriamente depositati nella casa canonica annessa alla chiesa del Sacro Cuore di Gesù di Bellizzi in via Roma. Quando fu costruita la chiesa grande, dedicata sempre al Sacro Cuore, in via Torino, i grandi spazi della moderna architettura consentirono una adeguata collocazione di alcuni quadri dell’artista tedesco. Tra i quadri prodotti da Pausewang durante la sua prigionia vi sono due ritratti di Padre Gaspare Bertoni, fondatore della Congregazione dei Padri Stimmatini. L’artista non era soltanto amico di Padre Beniamino (da lui ritratto per ben due volte), ma di tutta la congregazione. Altre opere prodotte furono: il Dittico dell’Annunciazione, Sant’Anna con Maria bambina, La Crocifissione, La Madonna di Pompei e La Natività con un pastore adorante. Nella chiesa di S. Maria della Speranza a Battipaglia è custodito invece Lo Sposalizio della Vergine.

Il prigioniero tedesco volle far dono dei suoi quadri, dapprima, alla chiesa di Picciola e poi alla morte di Beniamino Miori alla Chiesa Parrocchiale del Sacro Cuore di Bellizzi. Per documentare la sua intenzione, Pausewang si fece rilasciare dal parroco della chiesa bellizzese, Padre Cesare Salvadori, un attestato in cui dichiarava che tutti i suoi quadri erano stati donati alla Chiesa del Sacro Cuore.

I numerosi quadri realizzati in virtù della destinazione parrocchiale furono tutti di natura religiosa. Tali dipinti, oltre a costituire un unicum storico, possiedono una duplice rilevante valenza: la preziosa testimonianza esistenziale del trionfo della dimensione umanitaria anche nei momenti più feroci e il considerevole tasso di artisticità dei dipinti, perché il giovane autore era un pittore di professione e non un semplice dilettante.

L’opera raffigurante la Crocifissione riveste particolare rilevanza nella rappresentazione della vicenda storica e umana dell’artista prigioniero.

Iconografia della Crocifissione

Il primo passo verso la comprensione della sintassi compositiva della Crocifissione è quello delle istanze simboliche inventariate dall’iconografia religiosa, prevedibilmente nota sia all’artista che al suo consulente padre Beniamino. Come spiegano i Vangeli, in ebraico Golgota significa “luogo del cranio” che attraverso successive leggende diventa il cranio di Adamo ivi sepolto. Così, nelle Crocifissioni rinascimentali, ai piedi della croce di Cristo viene raffigurato un cranio e, talvolta, più di uno (varianti entrambe presenti nelle opere di Antonello da Messina); in tal modo Adamo simboleggia l’umanità peccatrice redenta dal sangue di Gesù.

Allusione al peccato rafforzata, in alcuni dipinti, dal simbolo del cardo a ricordo dell’espressione risentita del Signore nei confronti di Adamo: “spine e cardi [la terra] produrrà per te” (Genesi 3, 18).

Peccatore e Salvatore che vengono ulteriormente concatenati dalla leggenda medievale della Vera Croce: Adamo cacciato dal Paradiso Terrestre porta con sé un ramo dell’Albero del Bene e del Male che, dopo essere passato di generazione in generazione, viene infine utilizzato per costruire la croce di Cristo. Così il legno riunifica, attraverso il sacrificio di Gesù, Adamo e il suo Signore: caduta e redenzione.

Il sole e la luna, raffigurati ai due lati della Santissima Croce, rappresentano lo sconvolgimento dell’universo per la morte di Gesù, interpretazione anch’essa legittimata dai Vangeli: “A mezzogiorno si fece buio su tutta la terra, fino alle tre del pomeriggio” (Matteo 27, 45 e Marco 15, 33). Compresenza del sole e della luna rafforzata implicitamente da Luca: “Era già verso mezzogiorno e si fece buio su tutta la terra fino alle tre del pomeriggio, perché il sole si era eclissato” (Luca 23, 44-45).

Con Sant’Agostino i due astri ai lati della Croce acquistano un’ulteriore valenza; infatti, essi simboleggiano le due età del mondo: l’Antico Testamento (raffigurato dalla luna) e il Nuovo (rappresentato dal sole), che si possono comprendere soltanto alla luce dell’avvento di Cristo.

 

Iconologia della Crocifissione

Spiegata l’iconografia della Crocifissione, codificata nel corso dei secoli e quindi preesistente all’esecuzione di Pausewang, bisogna adesso tentare di capire la specificità della sua creazione artistica.

Se si continua a concentrare l’attenzione su elementi indiziari si scopre che la ferita inferta nel costato sinistro di Cristo ribalta la tradizione pittorica che la colloca a destra. Com’è noto i Vangeli sinottici non riferiscono l’avvenimento, mentre Giovanni dice semplicemente: “uno dei soldati con una lancia gli colpì il fianco, e subito ne uscì sangue e acqua” (Giovanni 19, 34). Gesto che egli considera il compimento di due profezie relative alla salvezza: “Non gli sarà spezzato alcun osso” (Esodo 12, 46) e “Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto” (Zaccaria 12, 10). Amplificandone il senso la Patristica interpreterà l’episodio prospetticamente; la ferita indica la porta da dove uscirà la Chiesa depositaria dei due sacramenti redentori: il Battesimo (l’acqua) e l’Eucarestia (il sangue).

È interessante osservare che anche il Gesù del Maestro del Parlamento di Parigi presenta la ferita al fianco sinistro, analogia addizionale se si rammenta che l’opera è stata già citata a proposito del perizoma irrealisticamente sventolante a destra e a sinistra. Ma, chi conosce questo sontuoso dipinto sa che esso è una vasta raffigurazione che illustra sincronicamente vari momenti della Passione, concludendosi con la discesa al Limbo di Gesù per liberare Adamo ed Eva.

Esaurita la disamina di queste interessanti disseminazioni simboliche, se si tenta di armonizzarle sintatticamente arruolandole nella loro separatezza non solo si smarrisce il significato profondo dell’opera di Pausewang, ma si finisce in un cul-de-sac interpretativo. Un solo esempio: dove cercare la conciliazione stilistica fra il trattamento espressionistico delle dita contratte ad artigli e l’apparentemente frivolo e manieristico perizoma? La risposta risiede nel nucleo simbolico della rappresentazione; detto in modo più analitico, l’eccellenza e la singolarità della composizione bellizzese è costituita dalla solenne iscrizione di Cristo in un triangolo isoscele rovesciato, il cui vertice coincide con l’intersecazione ipogeica dei cunei laterali della croce, che divaricano ed emarginano le due drammatiche conseguenze del peccato dopo l’espulsione dall’Eden: il cardo, simbolo del duro lavoro, e il teschio come irruzione della morte nel creato. Tacendo del simbolismo trinitario del triangolo, qui non utilizzato, l’opera è stilisticamente contrassegnata da una rigorosa monumentalità; solennità della struttura rafforzata dalla composta espressività del volto di Cristo e dall’essenzialità, prima contingente poi elettiva, del corredo pittorico.

Forza espressiva del dipinto che egemonizza e raccorda sia il trattamento del sole e della luna, come occhi sgomenti di un universo plumbeo e luttuoso, che quello dell’irrealistico perizoma dispiegato in entrambi i versi. Così, il triangolo rovesciato iscritto nell’opera appare cripticamente sezionato da tre traverse simmetricamente crescenti (decrescenti, invece, nella croce pontificia): panneggio, astri e braccia inchiodate. A un certo grado di contemplazione del dipinto lo sguardo del fedele, ritto davanti alla sovrastante Crocifissione, viene come catturato da quel vertice invisibile che, muovendo dalla base del quadro, lo risucchia in un moto avvolgente e ascensionale; trasformando il bidimensionale triangolo pittorico in tridimensionale vortice spirituale altamente significativo: redenzione (il senso religioso della crocifissione), abbraccio salvifico (il simbolismo mimetico delle traverse spalancate) e invito alla trascendenza (la sommità della croce enigmaticamente debordante).

Magnetismo che rammemora la monumentalità piramidale della Resurrezione di Piero della Francesca, dove la testa di Cristo ponendosi come vertice della struttura geometrica la promuove a metafora dell’Assoluto.

In merito alla Crocifissione di Pausewang, gli elementi che a prima vista sembrerebbero degli squilibri, come il perizoma svolazzante e la croce latina che forzando il confine superiore del dipinto sembra quasi commissa (a tau), a un’osservazione attenta e partecipe si ricompongono: le vesti appartengono, assieme agli astri e alle braccia del Redentore, al moto avvolgente e la croce dirompente a quello ascendente. Ecumenismo salvifico che conferisce alla fascia di luce all’orizzonte il senso di un diradarsi delle tenebre che ridisegna il profilo delle cose. Intima spiritualità esistente tra il soggetto rappresentato e la struttura compositiva che lo articola derivante dalla profonda comunione che l’artista stabilisce con Cristo.

Come insegnano i Vangeli, dopo l’arresto, Gesù fu oltraggiato e flagellato; infine, incoronato di spine, con la croce come soma, fu spintonato verso il sacrificio estremo. Pausewang al momento della realizzazione di quest’opera è un uomo sottratto agli affetti familiari, costretto a una guerra infamante e al suo corollario di efferatezze, miserie e paure, con l’epilogo di una bruciante sconfitta e un’umiliante prigionia. Allora, in forza della comune sofferenza, in virtù della fede e nell’empatia profonda che l’arte richiede all’artista nei confronti del soggetto della rappresentazione, Pausewang s’identifica con Gesù. In tal modo, se per il credente la crocifissione di Cristo rappresenta il più radicale capovolgimento di situazione: la dissolvenza incrociata di annichilimento terrestre e apoteosi celeste, la caducità della carne che metamorfosa nell’immortalità dello spirito, anche per Pausewang la raffigurazione pittorica di quest’avvenimento assume il valore di un “riscatto”, di una personale “redenzione”. All’euforia dell’anima che la creazione artistica produce, si aggiunge la gioia derivante dall’ammirazione tributata dal pubblico all’opera, facendo sentire Pausewang il padre terreno del suo Padre celeste.

Se Cristo, quantunque crocifisso tra due ladroni, si rivela all’umanità come il Salvatore, analogamente Pausewang, con il farsi opera dell’opera, è come se dicesse a sé stesso e ai suoi testimoni ammirati: “io non sono un detenuto nazista, ma un artista”.

contenuti a cura dell’Associazione Feudo RON ALFRE’

La Crocifissione inscritta nel triangolo isoscele rovesciato

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